
La “Deposizione” di Mantegna ritrovata a Pompei sarà in mostra ai Musei Vaticani
La celebre raffigurazione del Cristo Morto, offerta con notevole scorcio prospettico, riverso senza vita con le piante dei piedi in primo piano, di Andrea Mantegna è tra i capolavori della collezione della Pinacoteca di Brera. Invece più consueta è la composizione della Deposizione che l’artista veneto, interprete di spicco della pittura rinascimentale italiana, dipinse sul finire della sua attività, nell’ultimo scorcio del secolo (se non all’inizio del Cinquecento), con molta probabilità su commissione aragonese, forse dello stesso re di Napoli, Federico d’Aragona. Una tempera grassa su tela di lino, similmente ad opere coeve del Mantegna, documentata nel XVI secolo nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli e descritta in una lettera datata 20 marzo 1524 che l’umanista partenopeo Pietro Summonte scrisse al collezionista veneziano Marcantonio Michiel per riferirgli della fattura pregiata dell’opera, sottolineando il classicismo insito nella ricerca dell’artista. Nella lettera di Summonte a proposito della Deposizione napoletana si legge “Una cona dov’è Nostro Signore levato dalla croce e posto in un lenzolo, di mano del Mantegna, al quale, come sapete miglior di noi altri, è tenuta assai la pictura, poiché da lui cominciò ad rinovarsi la antiquità, ad cui successe il vostro Ioan Bellino”. Si tratta di una delle ultime notizie relative a quest’opera, poi dimenticata dalle cronache e persa, tanto da farne dubitare l’esistenza. Ma nel 2022, il dipinto è stato ritrovato al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei, dove sarebbe giunto tramite vie ancora ignote. La scoperta, di grande valore per lo studio del periodo finale dell’artista (che si spense nel 1506), è stata annunciata tempo dopo, per dare precedenza al restauro e alle indagini che hanno confermato l’autenticità dell’opera, pronta per essere mostrata al pubblico, dal 20 marzo 2025, al centro dell’esposizione nella Sala XVII della Pinacoteca Vaticana, inclusa nel biglietto di entrata dei Musei Vaticani. A dare il via al percorso di reintroduzione della Deposizione nel repertorio dell’artista è stata l’idea di Stefano De Mieri, dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli: qualche anno fa, una foto dell’opera fu pubblicata online dal Santuario di Pompei sul sito della CEI; dal raffronto iconografico con due copie del dipinto individuate nel 1956 da Ferdinando Bologna, De Mieri ha quindi avanzato l’ipotesi che potesse trattarsi della Deposizione perduta. Successivamente sono state effettuate due ispezioni che hanno visto coinvolti, tra gli altri, la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta, il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel, e il direttore Musei del MiC Massimo Osanna. Soltanto le indagini diagnostiche del Gabinetto di ricerche scientifiche e del Laboratorio di restauro dipinti e materiali lignei dei Musei Vaticani, durate due anni, hanno permesso l’attribuzione sicura dell’opera (sotto la pittura, la riflettografia ha svelato un disegno di mano eccellente), che a fine maggio 2025, al termine della mostra in Vaticano, rientrerà a Pompei, in un nuovo spazio museale allestito nel Santuario. Nelle parole di Fabrizio Biferali, Curatore del Reparto per l’Arte dei secoli XV-XVI dei Musei Vaticani, “l’iconografia del dipinto si lega a modelli rinascimentali e al classicismo proprio dell’artista, con rimandi all’antichità che lo rendono unico nella produzione mantegnesca”. Contributi e approfondimenti sulle scoperte tecniche, stilistiche e iconografiche legate all’opera si trovano nel catalogo scientifico che accompagna la mostra, dove ai visitatori verrà anche mostrato un video che spiega l’intervento di restauro.
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